Privacy: limiti alla videosorveglianza in ambito lavorativo

La videosorveglianza a distanza con finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori è vietata, come stabilito dallo Statuto dei lavoratori e dal Codice sulla Privacy (rispettivamente dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e dall’articolo 114 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196). 
Tuttavia, secondo il principio giuridico generale applicato ai controlli a distanza, il datore di lavoro può effettuare videoriprese in ambito lavorativo e filmare eventualmente anche i dipendenti solamente per finalità organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo finalizzati ai suddetti scopi, ma determinanti anche la possibilità di controllo a distanza preterintenzionale dell’attività dei lavoratori, possono essere installati solo previo accordo del datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. 
In assenza di accordo, il datore di lavoro deve richiedere e ottenere dalla direzione provinciale del lavoro un’autorizzazione amministrativa, in cui, ove necessario, l’ufficio deve prescrivere le modalità per l’adeguamento e l'uso di tali impianti (articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300). 
Nel secondo caso, disciplinato dal ministero del lavoro (circolare 7162 del 16 aprile 2012), l’autorizzazione è concessa purché siano rispettate le prescrizioni relative alla protezione dei dati personali (decreto legislativo 196 del 2013) e quanto stabilito dal Garante in provvedimenti successivi. Più precisamente, il datore di lavoro deve rispettare i seguenti obblighi: 
- Dare ai dipendenti idonea informazione sull’attivazione dell’impianto, sulla posizione e sui modi di funzionamento delle telecamere;
- Informare i clienti eventualmente videosorvegliati;
- Orientare le telecamere limitando la ripresa dei lavoratori; 
- Conservare le immagini per massimo quattro ore,
- Non utilizzare le immagini per accertare l’obbligo di diligenza dei lavoratori;
- Permettere ogni accesso alle immagini;
- Permettere ai lavoratori di verificare periodicamente il corretto utilizzo dell’impianto. 
Infine, è concessa una terza opzione al datore per la valutazione delle esigenze aziendali e del rispetto dei diritti del lavoratore prima dell’installazione dell’impianto di videosorveglianza: l’ottenimento del consenso unanime dei lavoratori (Cassazione, terza sezione penale, sentenza 22611 del 17 aprile - 11 giugno 2012).
 
Inoltre, la giurisprudenza ritiene lecite le riprese sui lavoratori anche per dimostrare il loro comportamento lavorativo illecito (come nel caso del dipendente su cui vi siano gravi indizi di furti in azienda) in quanto tale condotta si discosta dalla specifica attività di lavoro e consiste in un attentato al patrimonio aziendale (Cassazione, sezione penale, sentenza 20722 del 1 giugno 2010). Affinché tali riprese siano svolte lecitamente senza determinare reati, il datore di lavoro si deve rivolgere a un avvocato per lo svolgimento di investigazioni difensive (articolo 615-bis Codice Penale). 
 
La Cassazione (terza sezione penale, sentenza 17027 del 17 aprile 2014), inoltre, ha stabilito che la suddetta procedura (anteriore all’installazione di un impianto di videosorveglianza) deve essere rispettata anche qualora il controllo non sia occulto, in quanto l’essenza della sanzione consiste nell’uso di impianti audiovisivi senza l’accordo preventivo con le parti sociali.
Risulta illecito il sistema di videoregistrazione installato in azienda senza il consenso preventivo (con i sindacati, con autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati o con l'Ispettorato del lavoro) anche se non funzionante, dal momento che viene sanzionata l’installazione a prescindere dal suo impiego (Cassazione, terza sezione penale, sentenza 4331 del 12 novembre 2013, 30 gennaio 2014).
 
La tutela del patrimonio aziendale rappresenta un’ulteriore finalità ammessa per l’utilizzo di videoriprese, infatti con riferimento al licenziamento del dipendente di una società porta-valori ripreso a rubare, la Cassazione stabilisce che non vi è violazione di legge se l’impianto è autorizzato e l’uso delle riprese come prova risponde alle esigenze di tutela alla base dell’installazione dell’impianto (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 6498 del 22 marzo 2011). 
Un altro caso di liceità delle videoriprese, consiste nei controlli svolti da società terza nei propri locali (e non dal datore dei licenziati) in quanto non rappresenta un controllo dei lavoratori a distanza.
 
Delle novità sui controlli a distanza potrebbero essere introdotte dalla delega al Governo, inserita nella legge 183/2014 (cosiddetto Jobs act, in vigore dal 16 dicembre 2014) per la revisione della relativa normativa, regolata ancora dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica intercorsa e bilanciando le esigenze produttivo-organizzative del datore di lavoro con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. 
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